Autore: Irvin D. Yalom
Editore: Neri Pozza (2008)
Perché leggere il libro? (di Chiara Giudici)
Ho incontrato questo libro poco tempo dopo la morte di una amica e collega a cui volevo bene e qualche mese prima della morte, inaspettata di mio padre. L’ho trovato un sostegno nell’elaborare il dolore per la perdita dell’amica e uno spunto prezioso per riuscire ad accompagnare mio padre con presenza e accettazione. La morte può cambiare la vita e le relazioni in meglio!
Quando arriva è uno tzunami, ma può diventare fertile concime per nutrire la crescita personale e relazionale, riparando anche frizioni antiche e dolorose.
Questo libro racconta sette storie, Yalom narra, col permesso dei pazienti, le sedute che intorno a questo tema hanno consentito ad entrambi, paziente e terapeuta insieme, di vivere il morire e l’accompagnare nel morire come un’esperienza arricchente per la propria vita. È paradossalmente un libro pieno di vitalità e energia, per nulla deprimente e pieno di spunti per ritrovare senso e contatto per vivere più pienamente.
Quarto di copertina: «La tristezza mi entra nel cuore. Io ho paura della morte.» Così quattromila anni fa Gilgamesh, l’eroe babilonese, commentava la morte dell’amico Enkidu. La paura della morte ci perseguita da sempre. C’è chi la manifesta indirettamente, magari in un sintomo che non ha apparentemente nulla a che fare con essa; c’è chi la esplicita; come Gilgamesh, con tragica consapevolezza; c’è chi ne è a tal punto paralizzato da non potersi abbandonare ad alcuna felicità. Come un’ombra oscura, la paura della morte entra nel cuore di ogni uomo, in ogni epoca, sotto ogni condizione. Al punto tale che non vi è stato scrittore degno di questo nome che non l’abbia affrontata e descritta. Irvin Yalom l’affronta anche lui in questo libro, ma non per aggiungere un suo compendio di riflessioni alle illustri opere del passato. Il libro è piuttosto una ricognizione che nasce dal confronto personale con il problema della morte, confronto offerto dal dialogo con i pazienti e dalla frequentazione delle opere di quei pensatori che hanno tracciato la via per avere la meglio sul terrore della morte. L’esperienza mostra come sia davvero arduo vivere ogni istante consapevoli di dover morire. «È come cercare di fissare direttamente il sole: si riesce a sopportarlo solo per poco». Di qui i rituali compulsivi per attenuarne il terrore: la proiezione nel futuro attraverso i propri figli, la fede in un salvatore, la strenua lotta per diventare importanti e famosi. L’angoscia della morte è però sempre in agguato, «occultata in qualche abisso nascosto della mente». Che cosa fare? Come misurarsi con essa? Più che Freud, Jung e gli altri grandi psichiatri della fine del diciannovesimo secolo, sono i filosofi greci classici, in particolare Epicuro, a indicare, per Yalom, la via. È attraverso il pensiero di Epicuro -un filosofo lontanissimo da quella concezione di abbandono alla sensualità con cui viene generalmente tramandato- che l’idea della morte, anziché portare alla disperazione e a una vita priva di scopo, può essere una awakening experience, un’esperienza di risveglio, «una consaevolezza che conduce a una vita più piena».
No Comments